giovedì 16 novembre 2017

LA SACRA TESTA DELLA SACRA ROMA.






LA TESTA SEPOLTA

Tito Livio narra che nell’antichissima Roma, scavando per costruire il tempio di Giove Capitolino, si trovò la testa d’un essere umano perfettamente conservata. Siamo all’epoca di re Tarquinio il Superbo, quando Roma ha il predominio degli Etruschi sui Latini. Poiché v’era stato gran numero di prodigi, si pensa di consultare gli oracoli, e gli auruspici Romani ed Etruschi lo interpretano come segno che Roma sarà caput mundi, alla testa del mondo.

Dionigi di Alicarnasso ne dà versione analoga con una variante. Gli auruspici romani non seppero interpretare (in effetti impararono l'auruspicina dagli etruschi, per cui forse all'inizio erano un po' imbranati) e venne chiamato allora un auruspice etrusco, che però, guarda caso, voleva ingannare i Romani. I re etruschi erano alquanto odiati a Roma, e gli etruschi in genere di conseguenza, d'altronde i due popoli erano già in lizza per il primato navale e commerciale nel Mare nostrum, il Mediterraneo, lizza che terminerà con lo sterminio dei territori etruschi.

Gli auruspici migliori pertanto erano etruschi, ma i romani non si fidavano. Il figlio dell’auruspice invece, fedele a Roma, consiglia di non rivelare al padre nè ad altri il vero posto dove è stata rinvenuta la testa, cioè nella rupe Tarpea.

E come mai non si doveva sapere? Ormai il reperto era stato reperito, pensavano ci fosse altro da scavare? Oppure perchè non era stato trovato proprio al capitolium ma alla rupe tarpea, il che, come vedremo, dava altro significato.

Ma c'è un'altra versione:

La costruzione del tempio sul colle capitolino sarebbe stato avviato da Tarquinio Prisco verso il 575 a.c., partendo da un enorme terrapieno cinto da un muro, sull'altura meridionale del colle Capitolium, il cui nome deriverebbe dal ritrovamento, durante i lavori, di un teschio appartenente al corpo del condottiero Aulo Vibenna. E chi era costui?



AULO VIBENNA

Aulo Vibenna, ovvero Aule Vipinas, fu un condottiero etrusco che nel VI sec. a.c. conquistò Roma insieme al fratello Celio Vibenna (Caile Vipinas). Arnobio (IV sec. d.c.) con riferimento allo storico Fabio Pittore, (260 – 190 a.c.) narra dell'omicidio di Aulo, la cui testa fu trovata sul Campidoglio, la cui etimologia sarebbe caput Oli, dove Oil sta per Aul, da parte di una schiava di suo fratello Servio Tullio. Caspita è il fratello del re, o del futuro re di Roma.

Inoltre, nella famosa tomba François a Vulci, Aulo Vibenna, insieme ad un certo Macstarna, che sarebbe poi il nome etrusco di Servio Tullio, insieme ad altri compagni liberano Celio Vibenna.
Ora della storiografia di Fabio Pittore non restano che scarsi frammenti e le poche notizie che abbiamo di essa ci sono state tramandate da Dionigi di Alicarnasso (60 - 7 a.c.).

DEA ROMA

LA DECAPITAZIONE

Ora Arnobio era un cristiano e Fabio Pittore è greco, e pure Dionigi è greco e vuole dimostrare che i romani discendono dai greci. Insomma tra cristiani e greci sono dei bei maschilisti e sono tutti figli di eroi o Dei maschi, di Dee femmine non se ne parla.

Ora che la schiava di Servio Tullio avesse ucciso Aulo Vibenna sembra improbabile (lui era un grande guerriero, lei una femmina che non girava armata) ma non impossibile, magari lo ha pugnalato mentre copulavano, ma per quale ragione avrebbero sepolto il cranio sotto terra senza corpo?

Piccolo particolare: dal VI sec. a.c. gli etruschi smisero l'incinerazione e inumarono i corpi ponendoli dentro sarcofagi a loro volta contenuti nelle tombe a capanna scavate nella roccia. E' vero che alcuni vennero interrati direttamente, ma Vibenna non era un poveraccio, era un generale etrusco, per cui sicuramente venne posto in un sontuoso sarcofago.

Ma pure perchè, se non era in un sarcofago con tanto di iscrizione, come facevano a sapere che si trattava di Aulo Vibenna? Inoltre si parla di una testa molto ben conservata, ma come può la sola testa conservarsi senza un contenitore che lo preservi? Se fosse stato decapitato (e l'avrebbe fatto la schiava, accidenti che muscoli!) la testa si sarebbe immediatamente dissanguata, e con vene e arterie aperte, non si sarebbe mantenuta integra nemmeno in un luogo particolarmente asciutto.

La mummificazione naturale avviene per rilascio lento dei liquidi che vengono assorbiti da un terreno molto permeabile e asciutto, tipo sabbia. Una testa dissanguata diventerebbe, se per miracolo si conservasse, una testolina minuta e rugosa come le teste del Borneo.

Dunque la testa ben conservata non può essere una testa mummificata, e poi i romani non erano i tagliatori di teste del Borneo, e non può essere un cranio ben conservato, perchè non sarebbe una testa.. oppure era la testa di una statua?



LA TESTA DELLA DEA 

Strano a dirsi, ma non si doveva sapere che la testa proveniva dalla rupe Tarpea, per quale ragione? D'altronde la Rupe Tarpea era una propaggine del colle Capitolium. Forse perchè era la testa di una statua? Forse perchè la testa della statua era femminile? Forse perchè la grande testa statuaria femminile era della Dea Tarpeia che veniva adorata sulla rupe Tarpea? Insomma, tutto lascia supporre che fosse la testa della Dea Tarpeia ma era meglio non dirlo..

La leggenda narra che nel 460 a.c., i Sabini, residenti sul Quirinale, avevano conquistato il Campidoglio con il tradimento della romana Tarpea, che avrebbe aperto loro le porte. I Sabini però l'avrebbero comunque uccisa seppellendola sotto i loro scudi. In realtà il nome di Tarpea è più antico della leggenda, ed era la divinità tutelare del Mons Tarpeius, ovvero il Capitolium stesso, e pare che la statua della divinità sorgesse da una catasta di armi, come un trofeo, che ispirò poi la fantasia dei poeti. Si trattava dunque di un'antica Dea della battaglia e della morte, d'altronde tarpare significa spuntare qualcosa, per esempio "tarpare le ali" o tagliare i rami della boscaglia, o recidere il filo della vita.

Stranamente nè Dionigi nè Tito Livio (che non accennano ad Aulo Vibenna) menzionano il sesso della testa sepolta nel Capitolium, il che fa pensare davvero che questa fosse una testa femminile, appunto della Dea Tarpea, d'altronde Dionigi di Alicarnasso attesta un culto annuale di Tarpea sul Campidoglio, che era anche chiamato Tarpeium mons. Di certo non si dedicava un culto sacro alla figlia del portiere del fortino, ma ad una Dea poi dimenticata.

Etimologicamente Tarpea o Tarpeia viene dal greco Tharphos, che significa: bosco, macchia e probabilmente sul colle c'era un bosco sacro dedicato alla Dea silvana Tarpeia, culto evidentemente portato da esuli o colonizzatori greci che più volte si spinsero sul suolo tirrenico. E' probabile che la Dea avesse una statua e un sacello sul colle, poi demolito per far posto alle divinità successive e patriarcali.

Come del resto sul Monte caprino a Roma si onorava la Dea Capra assimilata poi a Diana Caprotina. Essendo Tarpeia una divinità, come già detto silvana, doveva essere una triplice Dea arcaica che riguardava anche gli inferi, pertanto con un lato anche distruttivo, ovvero mortale. Non è improbabile che i condannati a morte venissero precipitati dal colle proprio in  suo nome. Successivamente la Dea, come Anna Perenna, Acca Larentia e altre divenne una semplice donna, anzi pure traditrice del suo popolo.



LA DEA ROMA

Misconosciuta la Dea Tarpea si passò comunque a riconoscere la Dea Roma, le cui prime immagini su monete romane, risalgono al 269 a.c.

DEA ROMA
La Dea era raffigurata armata di spada, talvolta clipeata o coronata di alloro, con vicino una Vittoria alata o altri simboli.

Malgrado non venne riconosciuta la testa, l'Urbe romana divenne davvero la Caput Mundi.

Salve dissepolta Dea! Bentornata tra noi. Tu non fosti mai nè Madonna, nè monaca, nè umile ancella.

Tu fosti faro di civiltà nei mondi tribali, e mai ti assoggettasti ai tristi Dei maschi sopravvalutatori di organi genitali.

Tu fosti Dea Vergine nello spirito, perchè del tuo corpo facevi quel che volevi.

"Salve, dea Roma! Chi disconósceti
cerchiato ha il senno di fredda tenebra,

e a lui nel reo cuore germoglia
torpida la selva di barbarie.

Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
del Fòro, io seguo con dolci lacrime
e adoro i tuoi sparsi vestigi,
patria, diva, santa genitrice."


(Giosuè Carducci - Odi barbare)

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