lunedì 21 gennaio 2013

DEA ISHTAR





INANNA ALLE PORTE DELL'OLTRETOMBA

"Quando Inanna arrivò alle prime porte dell'oltretomba,
Bussò sonoramente,
Gridando con veemenza:

«Apri la porta, custode!
Apri la porta, Neti!
Entrerò solo io!
»
Le chiese Neti, custode sommo del Kur:
«Chi sei?»
Essa rispose:
«Io sono Inanna, la regina del cielo,
Diretta verso Oriente».
Le disse Neti:
«Se tu sei davvero Inanna, la regina del cielo,
Diretta verso Oriente,
Perché il tuo cuore ti ha messo sul cammino
Da cui nessuno mai torna?
»
Rispose Inanna:
«Per... Ereshkigal, mia sorella maggiore.
Gugalanna, suo sposo, Toro del Cielo, è morto.
sono venuta per i riti funebri.
Ora la birra dei suoi riti funebri colmi la coppa.
Così sia fatto».
Neti parlò:
«Resta qui, Inanna, voglio parlare con la mia regina.
Le porterò il tuo messaggio
».

Dea di guerra e amore della Mesopotamia, la divinità principale del pantheon, divinità lunare e infernale e, pur con molti amanti, è sempre vergine e legata ai misteri e alla magia. E' la Grande Dea di cui sono state reperite migliaia di statuette, basta andare al British Museum dove un immenso salone è tutto dedicato alle innumerevoli statuine della Dea, quella che per 25000 anni ha imperato in Asia, in Africa e nell'area mediterranea.

Ishtar è la Dea multiforme e multinomata, Tutti popoli l'hanno adorata e invocata, come Dea Natura, quindi come colei che dà la vita, che nutre e che dà la morte. Nell'aspetto terrifico era anche Dea della guerra, uno dei più grandi strumenti di morte.
Ishtar è legata anche al mito di Gilgamesh, che rifiuterà le sue avances scatenandone la furia vendicativa; è anche celebre la storia della sua discesa negli inferi per ritrovare il suo amato, e il fatto che durante la sua permanenza negli inferi la Terra non dia più alcun frutto ricorda il mito di Persefone e Demetra, durante la discesa di quest'ultima Dea per recuperare la figlia rapita.

Da un papiro egizio:

« ... loro ti chiamano Ecate,
dea dai molti nomi, Mene,
Artemide lanciatrice di dardi, Persefone,
Signora dei cervi, luce nel buio, dea dai tre suoni,

dea dalle tre teste, Selene dalle tre voci,
dea dal triplo volto, dea dal triplo collo,
dea delle tre vie, che tiene,
la fiamma perpetua in tre contenitori,
tu che offri la tripla via,
e che regni sulla tripla decade
. »

Ishtar, Dea dell'amore e della guerra, deriva dalla Grande Dea sumera Inanna. A lei era dedicata la principale delle otto porte di Babilonia, e aveva contemporaneamente l'aspetto di Dea benefica (amore, pietà, vegetazione, maternità) e terrifica (guerra e tempeste).

Era connessa con molte altre divinità del Medio e Vicino Oriente come Anath, Anutit, Aruru, Asdar, Asherat, Astarte, Ashtoreth. Athtar, Belit, Inanna, Innimi, Kiliti, Mash, Meni, Nana, Ninhursag Ninlil e Nintud. Da ciò derivano anche i tanti simboli diversi associati alla Dea.



ANAT

Anat era la cananea Madre Terra, Dea dell'amore e della fertilità, della guerra, Dea Madre. Veniva definita Vergine Dea, paragonata a: Demetra, Iside, Asherah, Ishtar. La zona del culto era adiacente e pertanto la Dea era simile ad Ishtar, nel culto e nei significati.

Consorte, a volte sorella, di Baal. Molti testi provenienti da Ugarit in Siria raccontano le gesta belliche del Dio Baal, al cui fianco combatte Anat. Figlia e sposa di El, Dio del pantheon in 'area semitica siro-palestinese e mesopotamica, spesso come Dio supremo, ed uno dei nomi di Dio nella Bibbia. Consorte di Jahvè, il Dio supremo israelita.

Si pensa che il suo nome derivi dal semita Anu (cielo), oppure "fornitrice" o "segno" di Baal. Fu lei a chiedere la costruzione di un tempio a Baal: si legge in un testo di Ras-Shamra:
« Sì, non vi è alcuna casa per Baal, come per gli Dei,
un atrio come per i figli Asherat
. »

Il culto di Anat, portato in Egitto dagli Hyksos, divenne popolare nella XIX dinastia, in cui, come Dea della guerra, divenne la protettrice militare di alcuni faraoni (come Ramesse II).
Su una stele tebana è raffigurata Anat, assisa in trono, nella mano sinistra scudo e lancia, nella destra  un'ascia.

Su alcuni papiri dell'isola di Elefantina, del 410 ac., si cita la Dea Iahu-Anat, adorata nel tempio di Yahweh in Gerusalemme. Iahu, secondo Robert Graves, sarebbe stato un titolo onorifico della Dea creatrice dell'uovo cosmico. Titolo che sarebbe poi passato al Dio ebraico diventando Yahweh. Secondo il mito pelasgico di Graves, "Iahu", in lingua sumera "divina colomba", dovrebbe essere ricollegata alla Dea primitiva Eurinome.

Da notare che tutte le antiche Dee erano collegate alla colomba. Non sfugge nemmeno il Cristianesimo che però appiccica la colomba allo Spirito Santo, rigorosamente maschio.

Nei testi di Ebla (Siria), il titolo "Iahu" era associato alla dea Anat, ma secondo lo storico francese Jean Bottero, il nome del Dio Ea sarebbe stato invece tradotto con Ia, da cui deriverebbe Iahu come la dea paredra, col suffisso -hu per il genere femminile.
I principali centri del suo culto erano Uruk, Assur, Babilonia, Ninive.



ARURU

Era la Dea sumerica Ninhursag (detta anche Ki o Aruru),  la Madre Terra, e formava con il Dio An la Montagna cosmica An-Ki.
Nel mito della creazione del mondo, la separazione di Cielo (An) e Terra (Ki) avviene tramite l'intervento del Dio Enlil, che "tira" verso di sé la Terra Ki, mentre An "tira" verso di sé il Cielo. Ovviamente il mito è riscritto in era patriarcale.
Ella venne rappresentata in forme diverse: 

ARURU E AN
- come Ninmah, la "Signora maestosa", era la dea che plasmò gli uomini dall'argilla;
- come Nantu, "colei che partorisce", era la dea protettrice del parto;
- come Ninhursag,  madre di tutte le creature viventi. 
- come Nin-hur-sag, la "Signora delle colline",  
- come Nintur "Signora delle nascite", 
- come moglie di Enki era solitamente chiamata Damgalnunna 
- oppure Dingirmah.
- Presso gli Accadi era Belet-ili "Signora degli dei" 
- come Mama. era Madre Natura
- come moglie di Ea, controparte accadica di Enki, era chiamata anche Damkina.
- ma nel suo aspetto di Damkina, quindi madre di Marduk, che divenne il Dio principale a Babilonia, conservò un posto sicuro nel pantheon mesopotamico.
- come Ninhursag (o Mami, Mama, Nintur a seconda dell'epoca e del luogo), impastò l'argilla per plasmare sette copie di sé stessa da porre alla sua sinistra (donne) e sette, invece, alla sua destra (uomini). Enunciando una serie di incantesimi animò le immagini. 
- come madre di Ninsar, Dea della pastorizia, e per aver creato Enkidu, l'uomo selvaggio fraterno compagno di Gilgamesh.

Secondo la tradizione il culto potrebbe essere stato importato in Egitto da Amenhotep III con la richiesta fatta a Tushratta, re di Mitanni, di poter avere la statua della Dea conservata a Ninive allo scopo di curare una malattia del sovrano egizio.
Nell'iconografia egizia la Dea è talvolta raffigurata nell'atto di allattare. Il suo prestigio decrebbe all'accrescersi di quello di Inanna/Ishtar.



ASHERAT

Dea proveniente dalla Fenicia, dalla Siria e dalla Palestina, che appare in Egitto sin dal XV sec. a.c., e da un iscrizione della tomba di Tuthmosis IV, con l'immagine di una dea guerriera, su un carro da combattimento; tale appare infatti anche in una pittura tolemaica di Edfu (Gressmann, fig. 278), dove però la Dea porta la testa di leone di Sakhnis, mentre il carro passa sul corpo di un nemico.

Ma anche in una stele di Memfi (F. Petrie,Memphis, I, pl. 15, 37), Ascerat, senza il carro, definita nell'iscrizione "regina del cielo" (come nell'Antico Testamento) e "signora di tutti gli Dei", è armata di lancia e di scudo. Anche altre figure egiziane di dee armate (Pritchard, p. 67) possono ritenersi immagini della Dea, tanto più che ella appare anche su un cavallo, e un testo la definisce "signora dei cavalli e dei carri".

ASHERAT
A più d'un millennio di distanza dai suoi monumenti egiziani, Asherat appare sulle monete di Tiro, Sidone, Ascalon, e di altre città marine fenice (cfr. Hill, Cat. Greek Coins, Phoenicia, index s. v.); con il capo ornato dalla corona murale delle Dee poliadi, per lo più in piedi sulla prua di una nave, reggendo in mano il timone e lo stilo. Ciò riporta alll'originario carattere marino della Dea, che nei testi di Rās Shamrah è alleata con il Dio Yam, il cui nome significa "mare".

Ella appare nelle statuette e nei piccoli bassorilievi dell'area semitico-occidentale dal principio del II millennio ac. in poi, per lo più nuda, che:
1) si stringe o si sostiene i seni,
2) ha le braccia distese ai fianchi,
3) regge nelle mani, secondo i casi:
   a) fiori (loto),
   b) un disco,
   c) serpenti,
4) porta o allatta un bambino,
5) ha in testa un diadema,
6) porta l'acconciatura di Ḥathōr (dalla seconda metà del II millennio).

I suoi caratteri celesti  risultano sia dai testi biblici (Gerem., 44, 18: "regina del cielo"), sia dall'interpretatio  Graeca  "Afrodite Urania", nei sigilli siriani la Dea, spesso armata, è accompagnata da attributi stellari (Contenau, 89, 93, 94 ecc.). In pendagli d'oro fenici del II millennio a.c. i simboli stellari sembrano essere equivalenti della figura di Dea che spesso appare negli stessi oggetti (Dussaud, L'art phén., figg. 15-16). 

Che si possa trattare di Asherat appare da un pendaglio analogo con simboli stellari (ibid., fig. 9, 5) di provenienza cartaginese, esplicitamente dedicato ad Astarte. L'evidenza dei seni allude all'aspetto nutritivo della natura come lato materno della Dea.
In Egitto è onorata insieme ad altre divinità siriane, a partire dal Nuovo Regno. Dea guerriera, brandisce lancia e scudo e porta una tiara ornata di penne, da cui pende sul dorso una benda. È spesso rappresentata sul cocchio, e talvolta a cavallo. Visto che gli Egiziani che non cavalcano, è evidente che la Dea è importata. Insomma un'' "Afrodite straniera", cui secondo Erodoto un tempio era dedicato a Memfi nel quartiere fenicio.
(Bibl.: S. Mercer, in Egyptian Religion, III, 1935, pp. 192-203)



ASTARTE

Grande Dea venerata nell'area semitica nord-occidentale, detta anche Ashtart; in accadico As-tar-tu, e nella demonizzazione biblica Ashtoreth. Infatti il nome Astarte o Ashtoret compare spesso nell'Antico Testamento, ma la differenza di pronuncia nell'ebraico biblico (‘Aštōret invece di ‘Ašteret) deriverebbe dalla sostituzione delle vocali con quelle del termine bōshet ("vergogna").
Astarte con colomba
Astarte era la Grande Madre fenicia e cananea, la sposa di Adone, col suo mito di figlio-sposo morto e poi resuscitato, come la vegetazione annuale. 
Pertanto ella era Dea della fertilità di uomni, animali e piante, ma pure Dea della guerra e connessa con l'Ishtar babilonese. 

I maggiori centri di culto furono Sidone, Tiro e Biblo, ma anche Malta, Tharros in Sardegna, ed Erice in Sicilia, identificata con Venere Ericina. Sempre in Sicilia, dette il nome a Mistretta, un paese sui Nebrodi, dal fenicio Am-Ashstart, città di Astarte".

Astarte entrò in Egitto dalla XVIII dinastia, identificata con Iside, Sekhmet ed Hathor. 
In epoca ellenica fu assimilata ad Afrodite, Urania e Cipride e alla Dea siriaca Atargartis (Syria per i Romani).
Suoi simboli erano il leone, il cavallo, la sfinge e la colomba. Nelle raffigurazioni compare spesso nuda ed in quelle egiziane con ampie corna ricurve, come Hathor. Il leone la riporta a Potnia Thera, la Signora delle belve, il cavallo all'aspetto nomade e amazzonico nonchè al cavallo da guerra, la sfinge all'antica Dea del cosmo misterioso e la colomba all'aspetto amoroso e curativo delle Grandi Madri.

Di lei il cristianesimo narrò cose folli, che si facessero sacrifici umani e che addirittura venissero sacrificati i bambini, cosa che non sta scritta da nessuna parte, ma che venne diffusa per screditare gli Dei pagani in genere, specie poi se femminili. Una Dea che allatta il figlio di certo non lo sacrifica, e del resto è cosa molto lontana dalla mentalità femminile. I costumi più cruenti sono apparenuti da sempre alle civltà monoteiste maschiliste.



NANA

La più antica apparizione della Dea nella mitologia mesopotamica è rappresentata da Nana, divinità sumerica e accadica, Dea della vita della natura, della fecondità e della generazione, venerata specialmente nell'antichissima città di Uruk o Erech nella Babilonia meridionale, dove sorgeva il suo grande tempio, Eanna ( Casa del Cielo o Tesoro Puro ), fondato intorno al 3000 a.c. dal re Urbau di Ur.

stella 8 punte emblema della Dea
Il culto di Nana era esteso in tutta la regione come divinità protettrice. Ma fu adorata anche dagli Elimei (Susiani), infatti nel 2280 a.c. il loro re Kudurnachundi, invasore della Babilonia, portò l'immagine di Nana da Uruk a Susa, da cui nel 644 a.c. il re assiro Assurbanipal la riportò nel suo luogo di origine.

Nana era raffigurata nuda, con forme molte sviluppate e le mani a coprire la nudità del seno.

A Ishtar successivamente era stato dedicato un santuario a Uruk, chiamato Eulbar ( casa di Ulbar ) il che lascia immaginare che la Dea Nana, divinità sumerico-accadica e Ishtar siano state la stessa divinità. Non a caso anche Inanna ebbe come emblema la stella a otto punte. Nella parte finale di un inno dedicato ad Ishtar, la Dea viene infatti  invocata come « signora di Eanna, signora del nome Nana ».

Nella mitologia greca Nana venne ingravidata da una mandorla che le cadde in grembo da un albero. Il mandorlo era germogliato dove era stato trucidato il violento e pericoloso genio Agdistis, figlio di Cibele, madre di tutte le cose. Nana abbandonò il bambino, che venne adottato da sua "nonna" Cibele. Il piccolo Attis crebbe diventando servitore e amante di Cibele.



INANNA
INANNA

Inanna è la Dea sumerica della Terra Madre e il suo culto fu fortemente diffuso presso i popoli del Mediterraneo orientale.
Nel mito fu protagonista di varie vicende, tra le quali la principale è quella della sua discesa agli inferi, dove  è uccisa dalla sorella Ereshkigal; ma gli Dei intervengono e la restituiscono alla vita.

Il racconto ripercorre il ciclo stagionale, in cui Inanna si lega a Dumuzi, il Dio-vegetazione che muore e risorge, a rappresentare le fine e la ripresa annua delle stagioni.

Nel culto astrale Inanna è identificata con Venere; nelle rappresentazioni artistiche viene simboleggiata in un fascio di canne, che termina in una voluta, da cui pende una banderuola. Ciò sottolinea quell'aspetto palustre della Dea su cui tanto insistè Bachofen, il primo scopritore del matriarcato, che tuttavia giudicò come aspetto inferiore al maschile.

La canna come simbolo dello stagno riporta il luogo dove tutto sembra fermo, ma tuttavia nel suo fondale brulica di vita, una vita difficile da vedere dal di fuori.

Lo stagno palustre è paragonabile al laboratorio alchemico dove tutto avviene all'interno del forno (atanor) e dell'alambicco. Vi è pertanto una chiara allusione al mondo interiore dell'anima, degli istinti e sentimenti, che si elabora portando a una continua trasformazione.

Quando i Babilonesi e gli Assiri subentrarono in Mesopotamia ai Sumeri, identificarono con Inanna la loro Dea Ishtar.



MENA

Mena (anche detta Mene) nella mitologia romana è la Dea della fertilità e delle mestruazioni.
Di lei si sa che era la ventunesima figlia di Giove, in quanto è citata da Sant'Agostino, nella sua "Città di Dio", in cui fa riferimento ad essa come "la Dea che sovrintende i periodi delle donne" Ma già nelle "Antiquitates rerum divinarum" di Varrone, come riferito proprio da Sant’Agostino, è presente il nome della Dea Mena, Dea del mestruo.

Mena era una Dea minore, figliastra di Giunone, che sovraintendeva insieme a questa al flusso mestruale. Il menarca, parola italiana desueta, tipicamente usata nel linguaggio medico, significa infatti "inizio delle mestruazioni". Ma anche "menstruo" e "mensis" (mese) sono termini legati alla Dea Mena. Del resto il menstruo col suo ciclo di 28 giorni è effettivamente collegato alla luna, con un periodo sterile, la luna Nera, e un periodo fecondo, la Luna Gravida o Luna Piena.

In realtà Mena fu un'antica e venerata Dea Luna, non a caso è spesso identificata con la Luna da Plinio ma pure da Geremia ed Isaia che raccontano della diffusione del culto della Luna tra gli Ebrei, oltre che tra Egizi ed Armeni.

Sembra che il suo culto nel sud Italia venne sopperito dal culto di San Menaio, tanto che dette il nome ad un borgo pugliese chiamato appunto San Menaio.



NINLIL

Ninlil o Sud, antica Dea sumera detta la "Signora dell'aria". Era sposa di Enlil, figlia di Haia e Nunbarsegunu o Ninshebargunnu. Il suo nome era Sud, ma quando si unì a Enlil lo cambiò in Ninlil. A volte è menzionata come figlia di An e Nammu. Viveva in Dilmun e secondo quello che racconta il testo di "Enlil e Ninlil", fu violentata da Enlil quando si bagnava nuda nel fiume. Alcuni le hanno associato l'origine di Lilith o Lilitu.



ISHTAR

« ...madre degli dèi,
degli uomini, della natura, madre di tutte le cose...
...l'Origine
tu sei la fine, e tu sola regni su tutto.
per tutte le cose che provengono da te, e che agiscono in te...
tutte le cose, giungono alla loro Fine. »


LA PORTA DI ISHTAR
Detta talvolta figlia di Anu, "il cielo ", e come tale Dea dell'amore, probabilmente credendo che l'amore fosse di origine celeste. 
In una iscrizione di Assurbanipal compare contemporaneamente come figlia Anu, di Bel e di Ea. 
Oppure è figlia di Sin, Dio della luna, e sorella di Shamash, Dio del sole, mentre in altri è descritta come figlia di Anu, Dio del cielo.
 Oppure è figlia di Bel, e cosi vien chiamata nelle invocazioni astrologiche. 
E' sempre associata con il pianeta Venere per cui è detta "Signora della Luce Risplendente", e nell'iconografia è associata alla stella ad otto punte (nel cristianesimo correlato alla Vergine Maria). La stella ad otto punte perchè il pianeta Venere ripercorre le stesse fasi in corrispondenza di un ciclo di 8 anni terrestri, cosa già ampiamente conosciuta agli astronomi/astrologi sumeri. 

Nell'Epopea di Gilgamesh Ishtar è descritta come innamorata via via del pastore Tammuz, poi di un uccello, di un leone, di un cavallo, di un giardiniere ed in ultimo di Gilgamesh stesso, che la rifiuta a causa della crudeltà della dea che aveva condannato ad un triste destino tutti i suoi precedenti amanti.

La morte di Tammuz è anche descritta nell'opera "Discesa di Ištar negli Inferi" dove la Dea, dopo essere discesa nell'oltretomba ed essere stata giudicata e giustiziata, rinasce scambiando il proprio corpo con quello dello sposo Tammuz. Dopo la morte di Tammuz tutte le donne, compresa la Dea, assumono lo stato di lutto che dura un mese, detto appunto il mese di Tammuz, digiuno che passerà alle cerimonie religiose islamiche. Durante la sua discesa negli inferi la terra si arresta e nulla può essere creato.

I suoi appellativi sono: 
- Argentea, 
- Donatrice di Semi, quindi governava anche la fertilità e il raccolto. 
- Stella del mattino, 
- Dea della fertilità, 
- Protettrice della natura, 
- Protettrice dell'agricoltura, 
- Signora della guerra e della pace, 
- Protettrice delle prostitute
- Protettrice dell'amore sessuale. 
- Dea delle tempeste, 
- Dea dei sogni e dei presagi, 
- Donatrice agli uomini di potere e conoscenza.
- Dea Madre, infatti nell'iconografia egizia la Dea è talvolta raffigurata nell'atto di allattare.
Ella personificò tante di quelle Dee  che il nome Istaru finì col diventare il generico nome di Dea.

Secondo la tradizione il culto potrebbe essere stato importato in Egitto da Amenhotep III con la richiesta fatta a Tushratta, re di Mitanni, di poter avere la statua della Dea conservata a Ninive allo scopo di curare una malattia del sovrano egizio. Il culto di Ishtar si diffuse anche in Egitto durante la XVIII dinastia.

Nella mitologia postsumerica o post sumero-accadica, bisogna distinguere fra la Ishtar adorata dal popolo e quella ufficiale religiosa babilonese, e soprattutto fra Ishtar babilonese e l'assira, sebbene poi si fusero in una sola, assorbendo le varie divinità femminili con essa identificate.
Un po' come nel suolo italico occorre distinguere tra la Dea romana Diana del rito ufficiale a quella adorata nelle campagne. Quest'ultima era Dea guaritrice con le erbe, protettrice dei bambini e delle donne, protettrice delle campagne coltivate, nonchè maga e protettrice della magia. La Dea ufficiale era invece Dea della luna e della caccia.

Nella più antica concezione popolare,babilonese, Ishtar è una divinità ctonia, il che la lega al culto dei morti e del mistero degli Inferi, quest'ultimo legato alle iniziazioni femminili. Infatti la Dea duscese negli inferi traversando 7 cancelli:
  • per aprire il I cancello il guardiano la priva della corona che ha sul capo, 
  • per aprire il II cancello il guardiano la priva degli orecchini, 
  • per aprire il III cancello il guardiano la priva della collana di perle 
  • per aprire il IV cancello il guardiano la priva del pettorale d'oro e di pietre preziose, 
  • per aprire il V cancello il guardiano la priva le toglie la cintura .
  • per aprire il VI cancello il guardiano la priva degli anelli, 
  • per aprire il VII cancello il guardiano la priva dell'abito.
Insomma negli inferi si giunge perfettamente nudi, cioè privi di schemi mentali altrimenti si finisce sbranati dai mostri infernali. Ma normalmente la gente non ci arriva proprio perchè la mente lo vieta.


Tammuz-Adone

In una saga che risale a tradizioni molto remote, si narra che Ishtar si fosse perdutamente innamorata di Tammuz.

ANATOLIA 2100 A.C.
Un giorno Tammuz fu ferito mortalmente da un cinghiale; Ishtar inconsolabile discese nel regno dell'oltretomba per sottrarre il compagno alla morte. Attraversò sette porte, obbedendo alle dure regole del regno dei morti che imponeva come condizione quella di lasciare un ornamento e un indumento in ciascuna di queste, fino a giungere completamente nuda al cospetto di sua sorella Ereshkigal che la imprigiona e scatena su di lei le sette piaghe.
La scomparsa di Ishtar condanna il mondo alla sterilità, gli uomini e gli animali cessarono di generare. Il consiglio degli Dei, le inviò allora un messaggero che dopo averla aspersa con l'acqua della vita la riportò sulla terra. 
Nel cammino di ritorno, riattraversando ciascuna delle sette porte, ritrovò i suoi ornamenti e vittoriosa riuscì a strappare alle potenze infernali il suo adorato Tammuz che fece ritorno dalle tenebre alla luce. Naturalmente il Dio Tammuz è la vegetazione annuale che ogni anno muore e resuscita, ma ha anche un significato più profondo connesso ai Sacri Misteri, come poi vedremo.

Ishtar, come Nana, fu Dea della fecondità e della generazione, ma pure stella brillante che sparisce ad occidente per tornare a brillare ad oriente, il pianeta Venere, per cui veniva chiamata "Signora della Luce" (il corrispondente romano di Lucina).

Come si vede qua a lato la Dea, oltre ad evidenziare la ioni come triangolo col vertice in basso (che è superiore, al contrario di quanto asseriscono molti cultori di yoga, al triangolo con vertice in alto), evidenzia pure una stella a cinque punte, che è stata da sempre il simbolo della magia, tanto è vero che anche nel medioevo i presunti maghi si firmavano con questo simbolo.

Le medesime funzioni erano attribuite, secondo Erodoto a Militta, Dea babilonese, un'altra delle figure parallele di Ishtar. Un'altra di queste, a Babilonia, era Zarpanit, signora della riproduzione degli esseri. L'Ishtar del periodo semitico, Dea della terra, ereditò tutti gli attributi di un'altra Dea Terra venerata a Eridu, Damkina, con cui si fuse: Ishtar e Damkina e cosi Nana, Militta e Zarpanit sotto differenti nomi divennero una medesima divinità.

La concezione di Ishtar come Dea-terra, nelle sue varie manifestazioni, è soprattutto la divinità dell'amore e del sesso, base della vita della natura. Ma questa rappresentazione anziché dall'attributo di fecondatrice e di generatrice dipende direttamente dal suo carattere siderale, che le derivò dall'alleanza stretta con Annunaki, a cui Ishtar fu assimilata.
Ishtar di Dilbat, « la messaggera, l'annunziatrice », cioè Ishtar-stella, formava una triade divina con Sin e a Shamash. Ella personificava la stella della sera, che precede l'apparizione della luna e la stella del mattino, che preannunzia il sole, associata al pianeta Venere; stella del mattino e stella della sera.

Come stella della sera era Dea dell'amore notturno che attira l'uomo verso la donna, come stella del mattino era la guerriera fredda e crudele, ma anche l'astro che annuncia il giorno con le sue fatiche e le sue lotte. Per questo Ishtar era ad un tempo casta e lasciva, benefica e feroce, pacifica e bellicosa, ricordando tuttavia che la guerriera era una caratteristica della Ishtar assira e che gli Assiri furono sopratutto un popolo guerriero. Ishtar rappresentante dell'amore sensuale e insieme Dea della fecondità era anche identificata con Belit, la madre degli Dei e degli uomini.

Era dichiarata la più forte fra le Dee, quella « per cui nessuno vive in riposo e in piacere, se ella non vuole, la dea della lotta, la signora della battaglia, l'arbitro delle grandi divinità », come vien designata in iscrizioni, colei che incita alle armi e in tempo di pace invita ai pericoli della caccia di fiere, e lei stessa dea delle fiere.  Come madre degli uomini e ad un tempo « signora degli Dei» ha parte nella leggenda del diluvio; piangendo sulla strage dei suoi figli.
Ebbe molti sposi, a ciascuno dei quali ella era unita sotto vari nomi o appellativi: quando è Marduk, lshtar appare come Zarpanit, quando Shamash diventa Ninib.
La Dea non si accontentò di un solo amante; nella leggenda d'Izdubar, li scelse fra gli uomini senza disdegnare le bestie. In questa leggenda infatti si racconta che la Dea amò ardentemente un'aquila e un leone e d'amore libidinoso un cavallo.

Ma l'amante principale di Ishtar fu Tammuz, paragonato più tardi all'Adone dei Greci; la cui saga nei suoi vari momenti, l'amore di Ishtar, il modo della morte, il periodico ritorno alla luce, ricompare spesso nella mitologia ellenica, Ishtar diventa Afrodite.
Anzi è probabile che la mitologia greca ne avesse tratto spunto per il racconto relativo alla rivalità tra due Dee, una celeste, l'altra infernale: Afrodite e Persefone, le quali entrano in discordia per l'amore di Adone. Comunque un bel Adon era amato dalla Dea Ashtartu/Astarte, assistita dalla Dea solare Shapash, guardiana dei morti.

IL TEMPIO DI AIN DARA



TEMPIO DI AIN DARA

Il Tempio di Ain Dara è un bellissimo tempio siro-ittita dell'età del ferro, costruito attorno al 1300 a.c e utilizzato sino al 740 a.c, eretto a 60 km a nord-ovest di Aleppo, in Siria. Uno dei templi più antichi della terra.

Il tempio, dedicato alla Dea Ishtar, si trova su di un'altura che domina la sottostante città di Ain Dara. 
Il tempio, maestoso nelle colossali strutture, con grandi statue e ricche decorazioni, con pietre e materiali diversi che ne esaltano i vari colori, è famoso per le numerose somiglianze con il Tempio di Salomone descritto nella Bibbia. (Philip J. King e Lawrence E. Stager, Life in Biblical Israel, p. 334). 

L'IMPRONTA DI ISHTAR
Le sculture conservatesi raffigurano leoni e sfingi, comparabili ai cherubini del Primo tempio ebraico; le grandi impronte dei piedi della Dea sono scolpite nel pavimento.

Nel 1955 fu casualmente ritrovato un leone monumentale in basalto, ma gli scavi avvennero tra il 1980 e il 1985. Si tratta di un tempio a pianta rettangolare orientato verso sud-est che venne strutturato e ristrutturato in tre fasi ben distinte.

La prima fase (1300-1000 a.c.) vide una struttura larga 20 m e lunga 30 m, composta da portico, anticamera (pronaos) e camera (naos). 

Nella seconda fase (1000-900 a.c.) furono aggiunte lastre in basalto a foderare il portico e i passaggi tra portico e anticamera e tra questa e la camera. 
Nella terza fase (900-740 a.c.) fu aggiunto un ambulatorio tutto intorno al tempio, ottenuto estendendo la piattaforma su cui era stato edificato inizialmente il tempio.

Questo significa che il culto prosperò dal XIV sec. ac. ad almeno l'VIII sec. ac. Un culto ufficiale durato almeno 6 secoli, senza contare il culto ufficoso che accompagnò sempre la persecuzione e l'abolizione delle antiche Dee.
Il tempio conserva le fondamenta in calcare e alcune lastre di basalto; è andata persa la sovrastruttura in mattoni di fango, probabilmente coperta da pannelli in legno.

La facciata e le mura interne sono decorate da altorilievi raffiguranti creature mitiche. Purtroppo il fanatismo degli uomini ha deturpato e praticamente annientato questo straordinario capolavoro. Si vede con quanta protervia si è lavorato con le mazze e martelli affinchè fosse colpita ogni figura fino a renderla irriconoscibile, anche se si trattava di animali simbolici.

Al che viene da pensare a quanto il patriarcato, e in particolare l'ebraismo, abbiano attinto largamente dai miti delle Grandi divinità femminili, dal mito della creazione, al Diluvio universale, agli appellativi divini, fino ai miti minori, spesso invertendo i ruoli maschili e femminili, denigrando sempre il femminile ed esaltando il potere della forza e della mente maschile in un mondo assolutamente arido, privo di poesia, di pietà e di anima.


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