venerdì 28 giugno 2013

LA GRANDE MADRE II



Se un postero entrasse in una chiesa cristiana senza nulla sapere di questa religione, si congratulerebbe per la scoperta archeologica e ne dedurrebbe che in questa religione:
  • il re di turno veniva immolato ogni anno inchiodandolo su una                                                   croce
  • altra gente veniva immolata in modo atroce
  • c'era un Dio Padre spesso rappresentato da un triangolo
  • non c'erano Dee Madri se non nel raro momento in cui tenevano in braccio  un bambinello
  • c'erano dei mortali in tonache varie che si facevano canne e                                               quant'altro   provocandosi estasi varie
  • che la maggior parte dei cosiddetti santi non avevano un'espressione del tutto etero
Di certo non ci sarebbero dubbi che il potere era in mano agli uomini, soprattutto in quanto la suprema divinità era un maschio, per giunta senza sposa.
Per contro, quando si vede che nel paleolitico l'unica divinità raffigurata è una donna, occorre dedurne che il potere fosse in mano alle donne, anche se quel potere non implicava un dominio nè una prevaricazione come sarà poi nel patriarcato. Le prove dell'esistenza di questa Grande Madre sono infinite, ma i libri non ne parlano tacendo o mistificando 25000 anni di matriarcato contro gli unici citati 5000 anni di patriarcato.



AURIGNAZIANO

Nell'Aurignaziano i cacciatori di mammut e le raccoglitrici avevano ruoli separati ma tutti riconducibili alla guida delle sacerdotesse, tanto è vero che essi veneravano una Grande Madre Generatrice del mondo.

In questa epoca remota del matriarcato, la dimensione femminile, in perfetta sintonia con l'istinto, poteva esprimere liberamente la propria natura in modo incontaminato, come animale selvaggio in armonia con il contesto del paesaggio, sia con il proprio ruolo di donna e soprattutto di sacerdotessa nel contesto sociale, senza limitazioni o prevaricazioni.

Il culto della Grande Madre come Dea Natura era pertanto chiaro alla donna che seguiva i ritmi e i cambiamenti della natura, in ogni suo aspetto benevolo e distruttivo, riuscendo sempre a leggervi i modi che la Natura aveva per eternarsi.

Accettare dunque i misteri della natura e della vita, significava divenire un tutt'uno con essa, e una messaggera per gli uomini della natura divina, altrimenti inaccessibile ad essi.

VENERE DI SAVIGNANO
Così, per virtù dell'aspetto sapienziale delle sacerdotesse, la natura stessa e la donna erano considerate sacre e inviolabili. La Dea veniva continuamente celebrata attraverso riti, culti della fertilità, accoppiamenti sessuali, feste dei solstizi e degli equinozi.

La sessualità animale in genere ed umana in particolare, era dunque sacra ed era considerata la più evidente manifestazione della Dea nel corpo e nell'anima delle donne.
L'eros rappresentava dunque una forza magica estremamente potente, in quanto causa della generazione dell'universo e della realtà in tutte le sue manifestazioni.

Risalgono a questo periodo, la caverna-santuario di Chauvet (Francia, 32.000-27.000 a.c) , utilizzata dai cacciatori per propiziarsi magicamente gli animali e la caccia, e le prime statuette femminili provenienti dall'Europa centrale, come la Venere di Willwndorf (30.000-2.5000 BP), e dall'Italia del Nord, come la Venere di Savignano (30.000 BP).

La religione era la causa e non il risultato delle raffigurazioni femminili, quindi, quest'ultime erano l'espressione principale del culto che le ha trasformate in simboli. Non tutte le immagini femminili avevano la stessa funzione, a volte come immagini di culto, come ad es. la Venere di Laussel, a volte come strumenti rituali, infatti, alcune di esse venivano rotte dopo essere state impiegate ritualmente.

In molti scavi, sono state scoperte delle statuette che prima della sepoltura vennero decapitare o lesionate sulla testa. Forse esisteva qualche relazione con le pratiche funerarie, perchè quando una creatura moriva con lei periva una parte della Dea, nel senso che un'energia moriva al mondo visibile per ritornare al mondo invisibile della Dea.

Questa energia che si sottraeva al mondo dei vivi per arricchire il mondo dei morti riguardava tutta la natura, cioè animali e piante. Pertanto la natura ogni anno moriva in una stagione per ritornare in un'altra stagione dell'anno successivo.
Così quando una creatura moriva per la stessa legge doveva ritornare in un'epoca non precisata, per quell'antica legge per cui la Madre Natura nasce muore e ritorna, per cui  l'energia, diremmo oggi, non si crea e non si distrugge, ma si trasforma, cioè prende nuove forme di vita.

Questo avvicendamento vita-morte era molto presente nelle trubù arcaiche, dove la morte diventava un episodio del ciclo universale della vita universale, ciclo ben rappresentato dai cicli della luna che sorge, cresce e muore per poi risorgere.

Ciò era molto chiaro alle donne e alle sacerdotesse in particolare che consideravano la Dea Luna, la Dea Terra e la Dea infera cioè della morte, tre aspetti di un'unica universale entità divina.
In tal senso la donna era il simbolo della natura e le sacerdotesse la rappresentavano e interpretavano per gli uomini della tribù.

Nei reperti archeologici è stato scoperto che il copricapo/acconciatura realizzato su alcune statuine della Dea, come la cosiddetta Venere di Willendorf, era presente in alcune sepolture (Ostuni, Arene Candide, Balzi Rossi).



LE PRESUNTE ORIGINI

Secondo il grande antropologo Campbell, emergono numerose convergenze tra il culto della Dea-Madre e l'ambiente dei piantatori tropicali, da tale rapporto, emerge la comune origine africana dei culti, che successivamente si diffusero anche negli altri continenti. "Esse rappresentano quella stessa dea-madre che sarebbe diventata così importante nelle successive civiltà agricole del Vicino Oriente e che è stata dappertutto celebrata come Magna Mater e Madre Terra" (Campbell, 1990).

Può darsi ma fa parte della mentalità maschile pensare che un culto identico in varie parti debba essersi diffuso da un centro. In realtà la Grande Madre, come osservò Carl Gustav Jung, è un archetipo, cioè è qualcosa che sappiamo senza bisogno che ci venga insegnato, ma la Grande Madre non è l'archetipo della madre ma della Madre Natura.

La scrittrice Ada d'Ares sostiene, e siamo portati a crederlo, che "quest'epoca fu caratterizzata da una profonda solidarietà tra le donne, da un senso di comunione e di uguaglianza nell'armonia, nella gioia e nella libertà" in cui era assente ogni "manifestazione personalistica e individualistica di gelosia o di un rapporto univoco con un certo uomo piuttosto che con un altro".



GROTTA DI CHAUVET

Nella grotta di Chauvet le incisioni, estremamente accurate, ritraggono animali selvaggi, come pantere, leoni, rinoceronti, orsi e cavalli, oltre ad erbivori erbivori e scene di caccia. Ve ne sono ben 400, datate al carbonio 14 intorno al 30.000 a.c. 

GRANDE MADRE SUBERIANA
La caverna ha varie sale che si snodano con impronte umane e segni di artigli. Nel luogo sono state trovate tracce di orsi, come le impronte di una madre con il cucciolo, ma anche circa 150 crani della fiera e dodici raffigurazioni dell’animale.

E' l’orso delle caverne, estinto intorno al 15.000 a.c., alto 3,5 m in posizione eretta e del peso di 500/600 chili. Su roccia piana, un grande cranio d’orso e intorno alcune teste ursine in cerchio.
Secondo alcuni studiosi, infatti, le antiche grotte dovevano essere dei luoghi sacri, veri e propri templi, al cui interno la successione di sale e corridoi rappresentava una sorta di viaggio verso l’altro mondo.

In questo mondo predominato dal femminile regna la Luna, il cui crescere, decrescere e ritornare fu per l'umanità antica il più importante di tutti i fenomeni celesti, in perfetta sintonia col ciclo mestruale femminile, collegato al mistero del sangue. Ma regna pure la Madre Orsa che rappresenta la Natura Selvaggia, che dà vita e morte, e che allatta le sue creature.

La Luna in continuo movimento e mutamento, seguiva e nutriva i ritmi della natura con le sue fasi di nascita, crescita e morte. Ciò investiva tanto boschi e le foreste quanto le grotte che fungevano da riparo, quanto la luce notturna nel cielo e il mistero dei morti restituiti alla Terra come grembo materno.



GRAVETTIANO

Le figure umane rotondo-gobbe emerse durante gli scavi del 1867 a Trou-Magrite, vennero realizzate durante il Gravettiano (25.000-20.000 BP). I ritrovamenti suscitarono grande interesse, soprattutto dei musei, incoraggiando scavi in tutti i siti rupestri, dell'Europa meridionale e centrale, conosciuti. 

Fino ad oggi sono state recuperate circa 500 statuette paleolitiche. Si tratta del culto per la Dea Madre, elaborato da una società senz'altro matriarcale.

Dalla regione renano-danubiana il culto si diffuse verso ovest, nella zona pireneo-aquitana (circa 25.000-23.000 ac.), dove ebbe una grande diffusione, verso sud lungo la penisola italiana (circa 22.000 ac.), e verso est, prima nella Russia meridionale (circa 22.000 ac.) e nella regione siberiana (circa 18.000-15.000 ac.).




MAGDALENIANO

Le Veneri del tardo paleolitico "giungono a noi come le prime espressioni riconoscibili di quell'idea rituale che vede nella Donna l'incarnazione dell'inizio e della continuazione della vita, come anche il simbolo dell'immortalità della materia" (Campbell, 1990).

VENERE DI
KOSTIENKI
Nel Magdaleniano (15.000-10.000 ac.) abbondano numerosi reperti, tra cui le Veneri di Parabita (15.000 ac, Italia). In Russia, e in Ucraina, sono state scoperte tracce del culto appartenenti ad entrambi i periodi. Il 95% delle statuette europee sono state trovate all'interno di quest'area, che dalla sommità dei Pirenei francesi arriva a lambire le sponde del fiume Don in Russia, grande circa 3.000 km di lunghezza e 300  di larghezza,  denominata: l'asse della «cultura iconografica femminile».

Le prime due Veneri paleolitiche, vennero scoperte nella grotta di Laugerie-Basse (Les Eyzies de Tayac, Dordogne) e a Trou-Magrite (Pont-à-Lesse, Namur, Belgio), tra il 1863 e il 1867.
La Venere della grotta di Laugerie-Basse appartiene al Magdaleniano (15.000-10.000 ac.).
Il restante 5% è stato rinvenuto in Italia e in Siberia. All'interno di quest'area, il contributo che viene dato dalle regioni del Sud-Est della Francia (Pirenei, Dordogne, Charente e Poitou), sede numerosi insediamenti paleolitici, è veramente notevole.

Nelle pitture rupestri, nelle raffigurazioni delle caverne-santuario di Lascoux, Pech Merle, Altamira, gli animali erano disegnati in modo realistico, con effetto di movimento e di profondità. Al contrario le figure umane erano appena abbozzate. 
Una ragione c'era, lo scopo non era quello di esaltare se stessi ma esaltare gli animali, oscure e strane divinità che potevano essere uccise per cibarsene.

Nella Scultura, il mezzo con cui la Dea-Madre venne rappresentata maggiormente, le varie parti del corpo non venivano realizzate con la stessa precisione.

 "Le statuette femminili, scolpite in osso, pietra o avorio di mammut, erano nude ed in posa naturale. Molte di queste erano estremamente obese, ed a differenza delle rarissime raffigurazioni di maschili magdaleniane, non portavano maschere e non avevano sembianze di animali" (Campbell, 1990).

Il seno, la pancia e la vagina, ricevevano molto rilievo mentre il volto, le braccia e le gambe sono appena sbozzate. Il loro scopo, una volta infissi nel terreno, era quello di proteggere le abitazioni, usanza ancora attuata tra le popolazioni di cacciatori di renne siberiani.

Quindi come osserva Rodriguez: "Coloro i quali hanno considerato quelle statuette come dei feticci con potere innato, sono partiti dal fatto evidente che nella mentalità primitiva, la magia e le sue manifestazioni acquistano un ruolo centrale nella vita collettiva e individuale; ma si deve obiettare, fra le altre considerazioni, che un feticcio non è nulla in sé, se prima un contesto di credenze religiose non gli ha consegnato il potere di rappresentare - e di entrare in rapporto con - la potenza o essere superiore che lo rende attivo" (Rodriguez, ...).

Ancora nel secolo scorso, Franz Hancar, notava che le figure in legno, scolpite dai cacciatori di renne della Siberia ( gli Ostyak, gli Yakut, i Goldi, ecc.), rappresentano delle donne. La loro funzione era di rappresentare l'origine ancestrale dell'intero popolo. "La capanna viene affidata alla piccola dea quando i suoi occupanti la lasciano per andare a caccia; e quando essi ritornano, la nutrono con cereali e grasso" (Campbell, 1990).

La Donna, in queste popolazioni, soprattutto durante la gravidanza, era "il centro e l'origine di un'effettiva forza magica" (Campbell, 1990).

"Le statuette femminili del paleolitico potranno essere «arte» per noi, ma la loro importanza cruciale risiede nella loro qualità di testimoni muti, oltre che simboli centrali, del primo sistema di credenze religiose strutturate che plasmò la psicologia umana. I concetti, i segni e i simboli che l'umanità paleolitica collegò alla fertilità, alla generazione e al femminile, avrebbero posto la base che permise di ideare le prime formulazioni circa l'esistenza di una divinità datrice della vita e protettrice. Nel corso di più di venti millenni, non vi fu altro dio che la Dea paleolitica; e durante vari millenni ancora essa, attraverso le sue evocazioni, ha continuato a dominare l'espressione religiosa delle differenti culture del continente eurasiatico e del Vicino Oriente" (Rodriguez).



Il CANONE DELLA BELLEZZA
VENERE DEI BALZI ROSSI

Secondo altri autori invece le Veneri paleolitiche sono una rappresentazione dell'ideale estetico dei gruppi di cacciatori-raccoglitrici europei e delle loro credenze mistico-religiose. Tutti gli uomini e le donne, moderni o preistorici, sono attratti dalla "bellezza". I canoni estetici però non sono immutabili. Questi, riflettendo le culture dei popoli e le condizioni oggettive determinate all'interno delle società, che cambiano. 

I meccanismi che regolano il gusto per il "bello" sono variabili, ma tra tanti uno è particolarmente importante: la rarità di un carattere. Si dice che nelle società di cacciatori-raccoglitrici del paleolitico, le persone obese non avevano certo una vita facile: l'obesità doveva essere un carattere raro. 

Che un carattere sia raro non implica però che sia bello, credere che la donna grassa fosse il top della bellezza arcaica significa essere molto ingenui e non conoscere la psiche umana. La Grande Madre non era partner, era madre.

L'obesità della Grande Madre era un simbolo di stabilità, era abbondanza di carne che creava abbondanza di creature. Sta nel nostro DNA l'idea di una madre opulenta, perchè una madre snella e magra dà più l'idea di una partner che di una madre. L'abbondanza di latte, nutrimento delle creature, presuppone una madre ben nutrita, è la Vacca Celeste, la dispensatrice di latte e di vita. 

Quando il maschile dichiara di essere lui la vita, e dopo un po' lo si vede appeso a una croce, crea un grande anacronismo. Un Cristo che si dichiara fonte di vita e vita lui stesso, costantemente torturato e agonizzante, se la mente non fosse occlusa dai condizionamenti e dalla paura, porterebbe a fare gli scongiuri.


IL COPRICAPO

Nella rappresentazioni delle Dee Madri spesso venivano rappresentati anche alcuni indumenti. Acconciature, copricapi ed alcuni capi di abbigliamento venivano scolpiti nei minimi dettagli, perchè da sempre l'eminenza di un gruppo o di una tribù si riconosce per un copricapo particolare, che sovente tende a imporsi sia perchè aumenta la statura dell'individuo facendolo emergere tra gli altri, sia per i colori sgargianti, o gli ori, o i ricami o le piume.


"PALLA DA GOLF" DA KOSTIENKY
Basti guardare il copricapo di un vescovo cristiano per rievocare fasti faraonici di ricchezza, ori e pietre preziose. La liturgia, in parte giustificata dal voler porre una sensazione inusuale e sospesa dal mondo reale, fu in realtà suscitata nei tempi remoti per l'esecuzione della magia operativa.

In particolare, le acconciature-copricapo venivano rappresentate attraverso due modelli. Il più antico era a forma conica o di cappuccio, presente nelle Veneri dei Balzi Rossi e di Savignano, oltre che in sculture di teste senza il corpo del Paleolitico Medio della Liguria. Il secondo tipo è quello che segue la forma della calotta cranica.

In alcuni casi si tratta della rappresentazione di una pettinatura (Venere di Bressampouy), in altri di un copricapo, che secondo alcuni e costituito di conchiglie forate (Veneri di Willendorf e Kostienki). 

Questo tipo di copricapo ebbe applicazione anche all'interno dei rituali funebri. Almeno in tre casi differenti, Arene Candide (Liguria), Grotta dei Fanciulli (Liguria) e Grotta di Santa Maria di Agnano (Puglia), i corpi di fanciulli o di giovani donne ne erano adornati al momento della sepoltura.



VENERE DI WILLENDORF

La Venere di Willendorf è una delle rappresentazione femminili più antiche e famose (35-20.000 BP), che si tratti della raffigurazione impersonale di una Dea o di una sacerdotessa-sciamana. La statuina dalle caratteristiche femminili estremamente marcate, pancia abbondante, il seno gonfio, i fianchi grossi e l'area pubica in risalto, probabilmente esprimeva un legame mistico con la procreazione.

COPRICAPO DELLA
VENERE DI
WILLENDORF
L'utilizzo di ocra rossa come colorante, forse, aveva lo scopo di richiamare simbolicamente il sangue mestruale o il suo legame con il parto. Un altra ipotesi, incoraggiata anche dalle sue dimensioni minute, prende in considerazione il suo possibile utilizzo come "scaccia guai".

Altri, invece, dando notevole importanza al suo copricapo, sostengono che esiste una relazione tra la Venere di Willendorf ed alcune sepolture del paleolitico superiore italiane. In queste, sono state scoperti alcuni copricapi costituiti da conchiglie, a questi oggetti si sarebbe ispirato chi ha scolpito la testa della statuina. Il significato dei rituali ad essa collegati, in questo caso, cambierebbe. Non più legati alla fertilità ed alla procreazione ma alla morte ed al culto dei defunti.

Alcune veneri russe presentano alcune caratteristiche che le rendono particolarmente simili alla Venere di Willendorf. Come la venere austriaca, hanno un seno molto gonfio ed i fianchi larghi e la pancia pronunciata. Il volto e le braccia sono appena accennati, i piedi non sono rappresentati. Sulla testa, anch'essa inclinata in avanti, probabilmente vi è rappresentato lo stesso copricapo. L'unica differenza apprezzabile è la fascio, o cinghia, che corre intorno al seno ed alle spalle. Su altre statuine sono riconoscibili le rappresentazioni di braccialetti e collane.

TESTA DI IDOLETTO DA MARL - NEW AVDEEVO
Altri tipi di rappresentazioni similari sono le teste di Venere russe conosciute come,"Palla da golf" (Kostienki I), in cui su una testa rotonda è particolarmente evidente una struttura reticolare, e Venere di Avdeevo, molto simile alla Venere di Willendorf.

Infinitamente meno frequenti di quelle animali, sono nella maggior parte dei casi immagini femminili.

Le più note e le più antiche sono le Veneri dette di Aurignac, statuette di soli pochi centimetri e prive di occhi, con le braccia atrofizzate e incrociate al di sopra di seni enormi e pendenti. Anche le cosce sono globulari e mostruose: una deformazione che è stata interpretata come stilizzazione simboleggiante la fecondità femminile, al culto della quale tali statuette erano probabilmente consacrate.



LA DEA DI LAUSSEL

Fonte: http://www.artinvest2000.com/storia-arte-2.htm

DEA DI LAUSSEL
"La stessa stilizzazione si ritrova in un piccolo bassorilievo di Laussel (Dordogna), nel quale una donna lumeggiata in ocra rossa brandisce con la mano destra un corno di bisonte e sembra ricordare qualche divinità dell'abbondanza, come Opi, o Pomona o Abundantia.

Accanto a questa serie di opere, che fanno pensare ad alcune sperimentazioni dell'arte astratta, ve ne sono altre che attestano lo sviluppo di una vena differente, attenta al realismo anatomico e all'espressione della vita inferiore nelle posizioni del corpo o nei tratti del viso.

È il caso delle figurine di Brassempouy (Landes) o della statuetta di Laugerie-Basse (Dordogna), detta Venere impudica, come se l'infantile gracilità del torso, la posizione del corpo appoggiato su una sola anca e il modellato teso delle lunghe gambe suggerisse in lei qualcosa di provocatorio. 
È, ancora, il caso delle due Odalische di La Magdeleine (Tarn), la cui indolenza e sensualità anticipano Matisse, Ingres e le Majas di Goya; o dei visi scolpiti di fronte nella grotta di Marsoulas (Alta Garonna) e di profilo su un blocco calcareo di quella di La Marche (Vienne), nelle quali il ritrattista pare divertito dalla tenerezza malinconica delle modelle."
dea di barassempouv

(Marija Gimbutas - Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea Madre nell’Europa neolitica - Mi - Longanesi, 1990)

Le incisioni rupestri delle Alpi Marittime e della Val Camonica, del III millennio a.c. e oltre, riportano oranti con braccia sollevate, guerrieri, carri, animali ma soprattutto figure femminili.
Le più note e più antiche sono le Veneri di Aurignac, statuette prive di occhi, con braccia incrociate sopra seni pronunciatissimi, cosce e seni enormi, tutti simboli di fecondità.

Nel bassorilievo di Laussel in Dordogna, una donna in ocra rossa brandisce con la destra un corno di bisonte come le dee romane e greche brandivano il corno di bue in segno di produzione e abbondanza.
Le figurine di Brassempouy, Landes stile II, o della statuetta di Laugerie-Basse, Dordogna stile IV, detta Venere impudica per la posa provocatoria, le due Odalische di La Magdeleine, Tarn stile IV, dei visi scolpiti di fronte nella grotta di Marsoulas, Alta Garonna, e di profilo su un blocco calcareo di quella di La Marche, Vienna.

Queste opere appaiono chiaramente in funzione di un culto rituale.” e inoltre “L'ipogeo di Hal Saflieni, a Malta, con le sue molte camere a vari livelli, si spinge profondamente nel sottosuolo e rappresenta la vagina e l'utero sacralizzati.

La forma a uovo delle singole camere simboleggia il fenomeno della rigenerazione, nelle profondità del tempio si celebravano i riti della vita, della morte e della rigenerazione e fu lì che si rinvenne una delle più famose sculture maltesi: La signora dormiente, placidamente sdraiata su un fianco, con una mano che regge la testa, riprodotta nello stile tipicamente maltese della donna obesa... Nel 2500 a.c. la civiltà della Grande Dea scomparve dall'arcipelago maltese."



LA DEA ITALICA

Nel nord le statue stele della Lunigiana son tutte femminili, al sud, tra i Sanniti, regna una divinità femminile legata all'acqua e alle sorgenti solfuree. La Mefite, "colei che sta in mezzo", adorata in tutto il Sannio con santuari presso Frosinone e in Irpina, come il santuario nella valle dell'Ansanto (Avellino) o di Macchia Porcara presso Casalbore (Benevento).

Sempre nel sud dal 4000 a.c. i contadini Siculi, adoratori di Adrar, la Dea Montagna. costruirono tholos, mura ciclopiche e dolmen. Il culto dei morti con sepoltura di uomo e cane, tra le popolazioni Sicule del Piceno, proviene dal culto di Adrar, i cui templi erano custoditi da cani. In un vaso piceno a testa di cane, c'è “il cane guida e la sorgente di vita”con Ecate in trono.

Del resto anche Diana aveva il cirneco come animale sacro. Al centro la Dea dominò tutta la dorsale Appenninica dall’Emilia sin oltre Pescara, con culti magici e religiosi, coi simboli della Terra e dell’Acqua, collegati a riti di purificazione, guarigione e divinazione. Si suppone che Adria e il mare adriatico derivino dal nome della Dea.

- Ma c'era qualcosa che queste antiche Dee avessero in comune?
- Certamente: il serpente, le fiere, il telaio...
- Il telaio?
- Si, il telaio della creazione.



IL TELAIO DELLA CREAZIONE

Il telaio della creazione, la vita che s’intreccia nel mondo. Sono le regolatrici della vita, la snodano come un filo e la tessono con regole precise: un ordito e una trama.... tra i Maya la Dea Ix Chebel Yax è la divina tessitrice, Athena insegna la tessitura ai mortali, e le Parche filano, tessono e tagliano il filo della vita. In Egitto Neith e Iside sono Dee della tessitura, e così Penelope, antica Dea preellenica e Habetrot Dea celtica che tesse indumenti magici....

- Neith egizia? Non era Hator la Grande Madre?

Nella Teologia predinastica egizia - Miti Egizi di George Hart - Mondadori '97 – (21) si hanno poche notizie della cosmogonia che vede Neith, signora dei mestieri, stendere il cielo con il suo telaio. La Dea tesse il mondo e finito il lavoro intreccia reti con cui pesca gli esseri viventi dalle acque primigenie. Quindi inventa il parto e lo sperimenta su di sè dando alla luce Ra.” 

Ra non fu affatto il primo il primo Dio. Gli Dei si susseguono e scambiano in tutte le culture, installando soprattutto maschi al posto delle femmine. La madre primigenia tesse il suo telaio, se ne hanno poche notizie perchè è un culto molto arcaico, e in Giappone è la Dea Amaterasu che inventa il telaio e insegna a tessere. Per non parlare delle Parche che filano la vita... e la morte, anche in Germania c'è la Dea che tesse al telaio il destino degli uomini, protettrice della casa e della famiglia: Berchta, o Berta, antica dea... "ai tempi in cui Berta filava"

- E la Befana ha a che vedere? Ha un fuso in mano...

Epifania, dal latino epiphania, infanzia, nella liturgia cristiana la manifestazione di Gesù come Messia, secondo un'antica tradizione Gesù apparve come Figlio di Dio il 6 gennaio, ma a distanza di anni, con tre episodi miracolosi: la stella che guidò i Re Magi, il battesimo nel Giordano e la trasformazione dell'acqua in vino nel giorno delle nozze di Cana.

- E che ne sapevano che era il 6 Gennaio?

Niente, ma con una botta ne festeggiavano tre, andavano al risparmio.
Si celebravano infatti i tre miracoli nel giorno dell'Epifania, poi restò solo l'adorazione dei Re Magi, forse troppe coincidenze erano sospette.
Ecco che dice della Befana l'Enciclopedia Treccani: (22)
 “Mitico personaggio in forma di orribile vecchia, che passa sulla terra dall'1 al 6 gennaio. Nell'ultima notte della sua dimora il mondo è pieno di prodigi: gli alberi si coprono di frutti, gli animali parlano, le acque di fiumi e fonti si tramutano in oro. I bambini attendono regali; le fanciulle traggono al focolare oroscopi sulle future nozze ponendo foglie di ulivo sulla cenere calda; ragazzi e adulti vanno per il villaggio cantando...in alcuni luoghi si prepara con cenci e stoppa un fantoccio e si espone alle finestre... i contadini della Romagna toscana sogliono portarlo in giro su un carretto, con urli e fischi, fino alla piazzetta del villaggio, ove accendono i falò destinati a bruciare la Befana... Gli studiosi vedono nel bruciamento del fantoccio (la Vecchia, la Befana, la Strega), che persiste da per tutto in Europa, la sopravvivenza periodica degli spiriti malefici, facendo risalire il mito della befana a tradizioni magiche precristiane..”

Già, gli antichi Romani celebravano l'inizio d'anno con feste al Dio Giano e alla Dea Strenia (di qui la strenna natalizia come regalo e la Strinna o Strina in dialetto sardo): erano le feste Sigillaria degli antichi romani, in cui si scambiavano auguri e statuette d'argilla, bronzo, oro o argento dette "sigilla".

I bambini invece ricevevano in dono sigilla di pasta dolce a forma di bamboline e animaletti. E la Chiesa non riuscendo a sradicare la festa la adottò.

Nel medioevo il periodo tra Natale e il 6 gennaio era pieno di magia, e i contadini aspettavano il volo di Diana colle sue ninfe per benedire i campi seminati.

Nell'antica Roma Diana era Dea della luna e della fertilità e il culto si protrasse nel medioevo nonostante la Chiesa. Questo corteo di Dea e ninfe venne condannato dalla Chiesa cristiana che le dichiarò figlie di Satana. Di qui i racconti di streghe, voli e convegni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. 

Così in tutta Europa il tempo tra Natale ed Epifania si ritenne propizio alle streghe. Presso i tedeschi del nord Diana fu Frau Holle, e nella Germania del sud Frau Berchta. Entrambe benevole, Dee di vegetazione e fertilità, protettrici delle filatrici, ma vendicative coi malvagi. Volavano su una scopa o su un carro, seguite dalle "signore della notte", maghe, streghe e anime dei non battezzati.

La Diana-Berchta in Italia è diventata la Befana, strega a cavallo di scopa che lascia ai bambini dolci o carbone. Il 6 gennaio si accendono i falò, e come una strega anche la Befana viene bruciata, secondo l'educazione impartita dal cattolicesimo. Come Frau Holle e Frau Berchta, la Befana ha la rocca in mano e come loro protegge le filatrici.

- Vuoi dire che dal palolitico in poi la storia si ripete?

Come significato della Dea senz'altro, ma poi intervenne il grande cancellino patriarcale e di tutto ciò nei libri neppure una parola.


Antiche Sacerdotesse

VENERE DI HAMAGIA
(ROMANIA)
- Assorte al magico telaio le Sacerdotesse tessono 
tele di luce e d'ombra, avvolte da un torpore divino, 
mentre le mani corrono esperte, 
col rocchetto che scorre tra i fili della vita. 
In quel torpore s’assembrano immagini, 
suoni, luci tremanti, sibili tenui come un sospiro. 
Le Sacerdotesse hanno occhi socchiusi, 
mani come farfalle veloci, e intravedono, 
nella penombra del tempio, 
le spire del Gran Serpente che scivola sul telaio. 
Allora ascoltano la voce dell’Antica Dea: 
Ecco, io sono colei che è, che fu e che sarà,
e nessun uomo ha mai sollevato il mio velo. -

La Grande Dea Madre fu universalmente onorata, dal paleolitico e per tutto il neolitico, sopravvivendo fino all’età del ferro. Il Sacerdozio fu femminile, con l’avvento del patriarcato divenne misto fino a passare totalmente in mani maschili. Tutto questo è taciuto dai libri di storia e protostoria, come un periodo vergognoso dell’umanità.

Le Dee benefiche divennero streghe o demoni, le sacerdotesse furono perseguitate e cacciate dai templi. Non a caso Agave, figlia di Cadmo e di Ermione uccide il figlio. Il culto dionisiaco liberava le donne? Allora erano tutte cattive e ammazzavano i figli.

Avendo il figlio cercato di impedire le feste dionisiache sul monte Citerone in Grecia, la madre che faceva parte delle Baccanti, invasata dal furore sacro, scambia il figlio per un cinghiale e lo fa a pezzi.
E che era un ciclope? Suona falso lontano un miglio. Le donne con culti propri vennero demonizzate, come le streghe nel medioevo.
I pochi culti rimasti furono stroncati dall’ebraismo, islamismo, induismo, buddismo e cattolicesimo e da tutte le religioni patriarcali, sia le politeistiche orientali, sia il monoteismo che fece di peggio, togliendo ogni Dea e ammettendo un unico Dio Padre.



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