lunedì 12 maggio 2014

SANTA VITTORIA DI SERRI



S. VITTORIA DI SERRI

ROSANNA FIOCCHETTO - SARDEGNA MATRIARCALE

"Le origini del nostro matriarcato vanno ricercate in Sardegna, culla della più antica civiltà italiana. La crearono alcuni "popoli del mare" pelasgici provenienti dall'Asia, dall'area egeo-cretese, dal Tassili africano, dall'Iberia e dalla Celtia.
Essi furono costretti ad emigrare dai vari epicentri territoriali per varie cause: disastri naturali e le aggressioni delle prime orde patriarcali indoeuropee.

Si tratta di quei mitici "giganti" ("figli della Madre Terra") che si dispersero nel Mediterraneo diffondendovi il culto della terra e delle acque, il megalitismo, la metallurgia e la cultura matrilineare. "Due popoli, discendenti degli antichi giganti, vennero ad occupare in epoche diverse le regioni fertili, ospitali e ancora poco abitate della penisola italiana: i Sardi e poi gli Etruschi". 

La grandezza (1900 km. di coste), la centralità e la difendibilità della Sardegna ne fecero in epoca post-diluviana un rifugio privilegiato. Dalla miscela etnica sarda si sviluppò una civiltà propulsiva, tutt'altro che chiusa: "dall'isola salparono navi che, per prime, crearono una rete di comunicazioni con la penisola, portandovi tecniche avanzate, arti, conoscenze e una visione magica e metafisica della vita" .

La civiltà matriarcale ha avuto in terra sarda uno sviluppo e una persistenza eccezionali, ancora scarsamente conosciuti. I ritrovamenti archeologici, relativamente recenti, ne hanno messa in evidenza la sorprendente dimensione soprattutto nel Neolitico e nell'Eneolitico (6.000 - 1.500 a.c). Tuttavia la sacralità del principio femminile si è conservata anche nei periodi successivi. 

Durante l'età fenicia si è intrecciata al culto della Dea Tanit e, durante la colonizzazione punico-romana, al culto di Demetra/Cerere. Inoltre, malgrado le persecuzioni dell'integralismo cristiano, è stata tramandata fino alle soglie dell'età cosiddetta moderna da una magica rete di donni di fuora che, soprattutto nelle zone interne, hanno contribuito al fenomeno antropologico del "matriarcato barbaricino".




SANTA VITTORIA DI SERRI, DETTA LA DELFI SARDA

Santa Vittoria è uno dei più importanti complessi cultuali della Sardegna nuragica, il cui santuario è collocato sul ciglio sud ovest della "Giara" di Serri, altopiano basaltico al confine tra la Trexenta e il Sarcidano, nella Sardegna centro-meridionale.

Il tavoliere di Serri si erge a 662 m slm come una gigantesca rocca di basalto che domina i bassipiani di Mandas, Gergei ed Escolca. La struttura col suo pozzo sacro risale al Bronzo finale-prima età del Ferro.

Su questo altopiano sorge, per una superficie di circa tre ettari, un'enorme, misteriosa e arcaica struttura sacra, protetta a sud/sud-ovest dal pendio molto scosceso ed a nord-ovest da una muraglia megalitica.

L’aedes sacro, che subì nel tempo molte ristrutturazioni, è composto da quattro gruppi principali di edifici:

- i due templi e la l'abitazione della Gran Sacerdotessa;
-  il recinto delle feste
- il gruppo del recinto del "doppio betilo"
- il gruppo di est sud-est, di insediamento civile.
 - Più in là giacciono la capanna detta “del capo”, la Curia ed altri ambienti.

TEMPIO IPETRALE


IL TEMPIO

Il primo gruppo, a sud ovest, si raggiunge attraverso l'ingresso di una cinta megalitica, segnato in origine da due betili, con una capanna di ingresso del diametro di 6 m (antesignana dei propilei greci). 

Il pozzo sacro, orientato nord-est/sud-ovest, è racchiuso da un recinto ellittico di m 19 x 13, edificato con file di blocchi di basalto perfettamente squadrati e allineati. Il sistema è quello canonico: atrio, scala, pozzo.
 
L'atrio, quadrato di  2 m X 2, ha il pavimento lastricato, un bancone-sedile ed un altare rettangolare con cavità e foro di scarico per il deflusso dei liquidi. 
La scala, con 13 gradini e copertura gradonata, conduce al pozzo cilindrico (diametro m 2) che aveva in origine una copertura a "tholos" (a cupola con pietre a secco). 

La muratura è costituita da filari di blocchi basaltici perfettamente lavorati (altezza residua m 3 su 20 filari). La fronte del tempio era forse in origine decorata da un fregio a dentelli e da due protomi taurine in calcare.

A breve distanza, a sud ovest, un ingresso aperto in una cortina muraria (lungh. m 14) porta al "tempio ipetrale" (tempio all'aperto, senza tetto). 

Vi si accedeva attraverso una "via sacra"(m 50 X m 4/3), la stessa che con un percorso curvilineo portava alla "capanna 6" (diam. m 11,50), forse un vano per la meditazione prima dell'ingresso al tempio.

Questo, rettangolare (m 5,80 x 4,80), orientato nord sud, con ingresso a sud, è a file regolari di blocchi di basalto. Vi sono inoltre due altari sacrificali di basalto con lastre calcaree.



CAPANNA DELLA GRAN SACERDOTESSA

Un passaggio a sud porta alla "capanna della Gran Sacerdotessa", circolare (diam. m 8), preceduta da un atrio rettangolare (m 2,40 x 2,80) con sedile, costruita con blocchi squadrati di basalto e malta. 

Risalendo verso nord lungo il muraglione di difesa, si incontrano i resti di uno pseudo-nuraghe (Bronzo medio-recente) sul quale presumibilmente i romani eressero un sacello alla Dea Vittoria. Da questo deriva la chiesa dedicata a Santa Vittoria.


Santa Vittoria

A 20 anni venne chiesta in sposa dal nobile Eugenio, ma sua cugina la convinse a divenire "Vergine di Cristo". (ma Cristo non ha mai detto alle donne di restare vergini!) Vittoria vendette i gioielli e le vesti preziose e rinunciò al matrimonio. Eugenio temeva di denunciarla come cristiana, perché  i beni di Vittoria venivano confiscati, e lui voleva il suo patrimonio (ma i nobili all'epoca erano ricchi!).

Segregarono allora le giovani e Vittoria andò a Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino).
Secondo la Passio, vi era nel territorio di Trebula un tremendo dragone (ma che avevano fumato?) il cui sbuffo pestifero faceva morire uomini ed animali. Domiziano, signore di Trebula, si recò da Vittoria, e la pregò di salvare la città dal drago. (Ma come, la riteneva una Dea?)

Scacciato il drago, Vittoria entrò nella spelonca del dragone e disse: «In questo luogo costruitemi un oratorio e datemi come socie le vostre fanciulle vergini». In poco tempo più di 60 ragazze divennero sue discepole; la Santa insegnava loro inni, salmi e cantici. L'esilio durò tre anni finchè Eugenio la denunciò e venne a Trebula un commissario per obbligare Vittoria ad adorare la Dea Diana. Al suo rifiuto la uccise con la spada (ma non gli avevano detto del dragone?).
La cittadinanza fece lutto per sette giorni; la misero dentro un sarcofago e lo deposero nella grotta dove aveva cacciato il dragone. 

Nel convento dei minori osservanti di San Pietro in Silki a Sassari è conservato un presunto corpo della santa, esposto da secoli alla venerazione (e come c'è arrivato?). E' patrona di 17 paesi, nel Lazio, in Abruzzo e in Sardegna. La Santa sarebbe stata martirizzata nel 253 e la Passio è posteriore di 4 secoli alla storia. Insomma, una pura invenzione per far dimenticare il tempio della Dea Vittoria su cui è stata costruita la chiesa che conserva a pezzi dei reperti romani. Secondo il Raschini è scopiazzata dalle "passioni" di Nereo e Achilleo, Calogero e Partenio, Rufina e Seconda, Giovanni e
Paolo e di altri.



LA CAPANNA DEL RE

Al limite nord del muraglione è situata la "capanna del capo" (diam. m 5,50; altezza residua m 4), con atrio trapezoidale (m 5,50 x 5,30; altezza m 1,65) dotato di pavimento lastricato e sedili. La camera interna ha 5 nicchie.



IL POZZO
IL RECINTO DELLE FESTE

A circa 50 m a sud est è situato il "recinto delle feste", a pianta ellittica (m 73 x 50 x 1,80), con ingressi a sud ovest e a sud est.

Era un vasto piazzale porticato destinato ad ospitare e rinfrancare i pellegrini.

Nell'area centrale (m 50 x 40) si affacciavano ampi porticati con nicchie e pilastri, due vani quadrangolari con banchi e sedili, il "recinto dei fonditori" (diam. m 6,70) con bancone e nicchia, il "mercato" con 9 vani rettangolari (m 4 x 2) con sedili e lastre per l'esposizione merci.

Appartengono al recinto pure: la "capanna della bipenne" (diam. m 6,95; altezza m 2), con resti del basamento di un altare e di un pilastrino decorato;

il "recinto con sedile circolare" (diam.m 6,65); la "casa del focolare" (m 4,20 x 2,90); la "casa del guardiano" (m 2,50 x 2,90); un vano rettangolare (m. 12 x 3) destinato alla cucina. 

IL RECINTO DEI SUPPLIZI ovvero IL VILLAGGIO

Tra gli edifici del gruppo est/sud est risaltano il "recinto dei supplizi", circolare e diviso all'interno, e la "curia" o "capanna della assemblee federali", circolare (diam. m 14; interno m 11), con ingresso a sud est col sedile per circa 50 persone. Alle pareti lastre di calcare infisse, forse per le offerte e nicchie, di cui una contenente una vaschetta in calcare. Un bacile di trachite si trovava a sinistra dell'ingresso.

RECINTO DEI SUPPLIZI
Si tratta del cosiddetto “Recinto dei Supplizi”, in cui – secondo questa teoria ormai superata – sarebbero stati “racchiusi gli individui colpiti da giudizio”, cui sarebbe stata comminata “una pena corporale o quella capitale, con la giugulazione o la decapitazione tra i due pilastri dell’ingresso”. Accidenti che fantasia! Oggi queste strutture sono invece ritenute dagli archeologi solo abitazioni.

Il gruppo di nord est mostra un isolato di 6 capanne aperte su spazi comuni, tra queste la "capanna del doppio betilo", dal manufatto calcareo che vi fu rinvenuto, fungente da altare. 

Il settore E e S-E , ma non la "curia", vennero abbandonati entro l'VIII secolo a c. Il resto del santuario fu in uso e subì rifacimenti in età punico-romana. Il Taramelli attribuì ai romani la violenta distruzione e l'incendio dell'area. Sul luogo in età bizantina sorsero la chiesa di Santa Maria della Vittoria ed un cimitero. La chiesa fu riedificata nell'XI-XII secolo.

CUCINA DEL SANTUARIO


LA CURIA

L’ultimo edificio che si incontra nell’agglomerato orientale, fu il centro civile ed amministrativo dell’intero complesso: la Curia. Con pianta circolare di 11 m di diametro ed unico ingresso, era dotata di un baldacchino anulare in calcare per i rappresentanti del popolo “assisi sui seggi di pietra”. Un luogo appartato, “ fuori completamente dal complesso architettonico destinato alle feste, lontano dal rumore di queste ultime, nella pace del bosco”, in cui i “Parlamentares” nuragici potevano discutere di alleanze, patti e guerre, sotto la vigile sorveglianza della divinità.

La giara di Santa Vittoria di Serri è un “altare” al quale guardavano le genti nuragiche della Trexenta, della Marmilla e del Sarcidano con quel senso di religiosità che animava le comunità greche nei confronti dei celebrati santuari panellenici di Olimpia e Delfi.”.

Le tracce più antiche di frequentazione stabile dell’area risalgono al bronzo antico, ma è a quello medio che si fa risalire il nucleo originale del complesso che ruotava intorno ad un nuraghe con funzioni militari, inglobato poi nel santuario vero e proprio forse già in uso nella fase più recente del bronzo finale.

C'è un po' la mania tra gli archeologi di un tempo di ritenere i nuraghe come torri militari, oggi si tende a considerarli templi e abitazioni. Le sezioni est e sud- est vennero abbandonate tra il IX e l’VIII secolo a.c., ma anche sotto la dominazione cartaginese il sito venisse ancora utilizzato come santuario.

Fu un violento incendio del II sec. a.c. a distruggere il santuario. Secondo il Taramelli si tratterebbe di una strage di locali, riuniti per la festa, ricordata dalle fonti antiche nel 177 a.c.
I romani vi lasciarono poi uno stanziamento militare che si mantenne fino all’età bizantina, quando sorse la chiesa di Santa Vittoria, che ancora persiste.

L’epoca più prospera del sito fu alla fine dell’età del bronzo, con il pozzo sacro che curava le malattie. Ne fanno fede i numerosissimi ex voto in bronzo: personaggi col bastone del comando; pizie locali velate da ampi mantelli; simulacri della Dea in piedi e seduta; militi armati o più umili contadini che recano l’offerta del pane o delle primizie.

REPERTI DEL SANTUARIO



Strane coincidenze all’interno dei “castelli nuragici”

Come sappiamo i nuraghi sono considerati, dalla maggior parte degli archeologi, strutture di carattere militare; eppure in questi ultimi anni la loro funzione di fortezza è venuta meno, sostituita da altri ruoli, come  magazzini o residenze reali.
Sono ormai storici gli studi di Carlo Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad aver portato come prova della funzione del Nuraghe-Tempio, i singolari eventi che accadono periodicamente all’interno di questi monumenti. Furono proprio questi due studiosi ad aver messo in evidenza il singolare evento da noi chiamato “fenomeno della luce dal foro apicale”. 
Gli eventi all’interno del nuraghe Aiga di Abbasanta, e del nuraghe Biriola di Dualchi furono da loro scoperti. A questi due casi si sommarono quello del nuraghe Is Paras di Isili e altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani di Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi studiato e reso noto, assieme ad un accurato studio su altri eventi analoghi, nel libro “La luce del toro” (G.R.S Gruppo Ricerche Sardegna, PTM 2011).

L’evento si verifica quando il sole, nel solstizio d’estate, raggiunge una determinata altezza. In questo giorno particolare è possibile ammirare uno degli eventi più sbalorditivi che animano queste antiche torri. Un sottile raggio di luce penetra attraverso il foro ricavato dagli antichi costruttori all’apice della cupola costruita all’interno del nuraghe. Tale raggio attraversa tutta l’ampia volta e va ad illuminare (se presente) la nicchia in sala, oppure la base della camera (Is Paras di Isili).                                                                                                                         
Il fenomeno che si verifica è assolutamente voluto. Fu nelle intenzioni degli antichi costruttori di non chiudere immediatamente l’ultimo corso anulare della volta con la pietra apicale ma sviluppare un prolungamento (un lucernaio) per superare lo spessore del terrazzo e raggiungere il suo piano di calpestio onde poter chiudere l’apertura. 
Questa condizione ha come finalità di poter rimuovere la pietra apicale dal terrazzo per consentire il verificarsi dell’evento solare. L’eccezionale stato di conservazione dell’ultima parte della cupola e dell’intera sala (h  4,88 m e base di 3,45 m di diametro), nonché lo scrupoloso tecnicismo dell’illuminazione della nicchia centrale, è la prova della volontarietà e della predittività dell’evento.

Al santuario nuragico S. Vittoria di Serri siamo di fronte all’autenticità della testimonianza di fede della religiosità “Nuragica” e dei riti svolti dagli antichi sardi. Il sito comprende sia un pozzo sacro, un nuraghe, un recinto delle feste e numerose altre costruzioni, oltre all’omonima chiesetta di Santa Vittoria.
I ritrovamenti dei ricchi depositi votivi attorno al tempio a pozzo e nelle numerosissime capanne cultuali hanno restituito un tesoro inestimabile composto da spade, pugnali, lance, contenitori di bronzo, oltre ai classici bronzetti offerenti, madri con figlio in grembo, sacerdotesse, oranti, arcieri, capotribù con bastone di comando, miniature di contenitori in bronzo per derrate, carri, colombe, tori, cervi, capre volpi, protomi animali di navicelle nuragiche, aghi crinali in bronzo, pugnali ad elsa gammata, bracciali, anelli, ceramiche e tanto altro, segno di secoli di frequentazione di questa area sacra.
Tra i reperti sculture zoomorfe, due protomi taurine in calcare, dimostrazioni dell’arte scultorea provenienti dal tempio a pozzo, da riferirsi a quella divinità – toro adorata sin dall’età neolitica.
In quasi tutto il sito, nelle capanne del recinto delle feste, nel tempio ipetrale, nella torre con finestrelle, nel recinto dei fonditori, e in altre, persiste allo stato stratigrafico i resti di pasti sacrificali composti da bovini, suini, ovini, cervi, e le immancabili valve di molluschi (Cardium o Mythilis). 

In particolare la “Capanna della Bipenne” dove è stato ritrovato, ai piedi dell’altare, un pilastrino che si inseriva in una basetta con una dentellatura superiore in pietra calcarea ed una grande ascia bipenne in bronzo lunga 27 cm (Inspiegabilmente non visibile in nessun museo).

Lo stesso Taramelli la definì la “Sacra Bipenne Betilica” ad uso di sacrifici rituali di animali, confermato dallo stesso recinto delle feste e altre parti dell’area sacra che ne mantenevano le tracce.
                                               
Anche nella capanna delle Bipenne, presso la base dell’altare, sono stati rinvenuti resti di abbondanti pasti,  il Taramelli operò un saggio di scavo sotto il pavimento lastricato in calcare, e portò alla luce una sottostante pavimentazione sempre in lastre di calcare. Lo strato di terriccio tra i due pavimenti conteneva oltre ai resti di pasto anche  manufatti nuragici, ceramiche, frammenti di pugnale, anelli, statuette bronzee e anche un modellino di bipenne immanicato. Lo stesso Taramelli testimonia la persistenza del culto della bipenne con le medesime modalità, testimonianza della prosecuzione dei riti religiosi.


SANTA VITTORIA DI SERRI, LA DELFI SARDA

"Un dio del cielo, del sole addirittura, - narra la tradizione - si impossessò del “onfalos” del mondo.
Lo sottrasse ad una divinità della terra, la strisciante Dea serpente: Pithia, la Pitonessa. 

Apollo,(un pò apollo e un pò apolla) divenne così signore di Delfi e il mondo, da allora, fu retto dagli uomini.
Il mondo, ma non il sacro, ancora prerogativa femminile: solo alle sacerdotesse era concesso di farsi tramite della volontà del Dio usurpatore, vincitore della guerra ma non della mediazione con gli Dei.

REPERTI DEL SANTUARIO
Assunto il titolo di Pitico, Apollo regnò per secoli nel più grande e antico santuario panellenico della Grecia.
Ma Δελϕοί, in quanto δελϕύς (“utero”), rimase sostanzialmente luogo di sovranità muliebre, retto da una classe sacerdotale che aveva nella Pizia il cardine ed il fulcro.

Ed all’oracolo della Pizia si inchinarono i potenti del mondo antico, incapaci di dar vita ad una guerra o di fondare una colonia senza il responso favorevole della pitonessa. Delfina, pitonessa, Pizia. 
Ovvero la sarda Bithia, custode dei segreti dei luoghi sacri isolani, rappresentata in alcuni celebri bronzetti provenienti dal santuario nuragico di Serri."

Cosa c'entra Santa Vittoria con la pizia di Serri? Nulla, tanto più che si parla di favole con tanto di Dragoni, esseri mitici esistenti nel medioevo quando combattevano coi cavalieri.
C'entra però per quel perverso disegno di cancellazione che la chiesa cattolica operò su ogni forma di paganesimo, perchè anche nella cultura nuragica e ancora prima, per la chiesa qualsiasi religione o credenza o ritualità era demoniaca e da cancellare con violenza.

Cancellare la memoria del mondo significa, ce lo insegnò Sigmund Freud, scatenare infelicità e nevrosi.



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